Stupro: Assoluzione per due trentenni, il consenso in stato di ebbrezza al centro del dibattito
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Un giudice ha assolto due trentenni dall'accusa di stupro, motivando la decisione con la presunta volontarietà dell'atto sessuale da parte della presunta vittima, nonostante fosse in stato di ebbrezza. La sentenza, che ha suscitato forti polemiche, ha riaperto il dibattito sul concetto di consenso informato e sui limiti della capacità di discernimento in situazioni di intossicazione alcolica.
Il caso ruota attorno a una serata trascorsa in un locale notturno, dove la donna avrebbe consumato una quantità significativa di alcol. Secondo la ricostruzione dei fatti fornita dalla difesa, la donna avrebbe consentito ai due uomini di intrattenere rapporti sessuali, nonostante il suo stato di inebriazione. La procura, invece, aveva sostenuto che lo stato di ubriachezza della donna avrebbe compromesso la sua capacità di dare un consenso libero e consapevole, rendendo l'atto sessuale un reato.
Il giudice, nella sua sentenza, ha ritenuto che, pur considerando lo stato di ebbrezza della donna, non fossero presenti elementi sufficienti a dimostrare la mancanza di consenso da parte della stessa. La decisione si basa su una valutazione delle testimonianze e delle prove presentate durante il processo, che avrebbero indicato una volontà, seppur in uno stato alterato, di partecipare all'atto sessuale. La sentenza sottolinea la complessità nel determinare il confine tra consenso e coercizione in situazioni simili, dove lo stato di alterazione di una persona può influenzare la capacità di comprendere le proprie azioni e le conseguenze delle stesse.
La sentenza ha scatenato un acceso dibattito pubblico, sollevando interrogativi sull'interpretazione giuridica del consenso in casi di stupro e sulle sfide poste dall'assunzione di alcol. Organizzazioni per i diritti delle donne hanno espresso forti critiche, sottolineando la difficoltà per le vittime di violenza sessuale di ottenere giustizia in situazioni simili, dove lo stato di ubriachezza può essere utilizzato per mettere in discussione la veridicità delle loro dichiarazioni. La sentenza, quindi, non fa che riaccendere la necessità di una più approfondita riflessione sul concetto di consenso informato e sulla necessità di una maggiore sensibilizzazione su questo tema delicato, al fine di proteggere le vittime di violenza sessuale e garantire loro un'adeguata tutela.